In una sede non usuale e sorprendente per la piacevolezza del luogo, e la bellezza degli ambienti, si svolge la mostra “Lucio Fontana. Autoritratto”, la mostra ospitata dal 12 marzo al 3 luglio 2022 alla Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo presso Parma, trae origine dal rapporto tra Lucio Fontana, maestro assoluto dello Spazialismo e dell’arte del XX secolo, e la storica dell’arte Carla Lonzi, allieva del grande Roberto Longhi.
È un viaggio nella pratica e nel pensiero di Lucio Fontana, con circa cinquanta opere scelte come emblemi di quella conversazione.
Il risultato è un’escursione nella ricerca di Fontana, nel suo pensiero e nella sua pratica. Un itinerario vivido e intenso, reso ancora più coinvolgente grazie alla registrazione audio originale della conversazione, offerta al pubblico in maniera integrale. In questo modo le parole dell’artista accompagnano la visione delle opere, fungendo da filo narrativo lungo tutto il percorso di visita.
“La scoperta del cosmo è una dimensione nuova, è l’infinito, allora buco questa tela, che era alla base di tutte le arti e ho creato una dimensione infinita, un’x che, per me, è la base di tutta l’arte contemporanea. Sennò continua a dire che l’è un büs, e ciao“.(dall’intervista a Lucio Fontana di Carla Lonzi in Autoritratto, 1969)
L’esposizione dunque segue, narrativamente, la conversazione tra Fontana e Lonzi, permettendo la realizzazione di un percorso antologico, ma non dogmatico, con lavori che toccano i momenti salienti e peculiari della ricerca fontaniana, un itinerario nel pensiero e nella pratica di un artista che riteneva che l’arte dovesse essere vissuta attraverso una nuova dimensione, all’interno della quale entravano anche nuove tecnologie e materiali. Vengono esposte opere di vari periodi, dalle sculture degli anni Trenta ai “Concetti spaziali” (“Buchi” e “Tagli”) dagli anni Quaranta ai Sessanta, oltre ai “Teatrini” e alle “Nature” bronzee; spettacolari sono l’enorme New York 10 del 1962, pannelli di rame con lacerazioni e graffiti, in dialogo con la luce a evocare la sfavillante modernità della metropoli, e la potentissima La fine di Dio, 1963, grande opera realizzata a olio, squarci, buchi, graffiti e lustrini su tela, emblematica della concezione spazialista e insieme religiosa dell’artista. Il percorso si chiude con opere di Enrico Baj, Alberto Burri, Enrico Castellani, Luciano Fabro, Piero Manzoni, Giulio Paolini, Paolo Scheggi, provenienti dalla collezione personale di Fontana, artisti più giovani da lui seguiti e promossi. Particolarmente suggestive le serie fotografiche scattate da Ugo Mulas a Fontana, del quale sono esposte anche due opere appartenute al grande fotografo; di una di esse è esposta la documentazione fotografica dell’intera genesi, dal primo “buco” all’opera compiuta, un unicum sia nella storia del fotografo sia in quella dell’artista.
Lucio Fontana è tra i pionieri e maestri indiscussi dell’arte del XX secolo, figura carismatica radicale e dirompente, costante punto di riferimento per gli artisti delle generazioni successive. Promotore di numerosi manifesti del Movimento Spazialista, a cominciare dal Manifiesto Blanco del 1946 – dove si afferma che “la materia, il colore e il suono in movimento sono i fenomeni, lo sviluppo simultaneo dei quali sostanzia la nuova arte” – avvia un processo che lo porterà all’idea di introdurre una nuova, inedita dimensione nelle sue opere. Egli è uno sperimentatore totale; dopo i lavori in marmo, gesso e ceramica del primo periodo e la costante attività di dialogo con prestigiosi architetti, nel 1949 inizia i suoi rivoluzionari lavori con i “Buchi” che perforano la tela; nel 1951 realizza la celebre Struttura al neon per la IX Triennale di Milano, passando, pionieristicamente, dai lavori concepiti appositamente per trasmissioni televisive sperimentali (1952) e approdando ai celeberrimi “Tagli” nel 1958.
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